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La più grande sfida del prossimo decennio è legata all’abbattimento dell’anidride carbonica in atmosfera.
La “semplice” riduzione delle emissioni non sarà sufficiente: per tornare a uno stato pre-industriale (con il conseguente abbassamento della temperatura di 1,5 gradi) dovremo individuare nuove tecnologie capaci di catturare la CO2 già presente in atmosfera.

Cosa fare, quindi, dell’anidride carbonica recuperata?

Una prima soluzione potrebbe essere quella dello stoccaggio, che prevede la cattura dell’anidride carbonica e l’iniezione della stessa, in forma liquida, in giacimenti minerari esauriti. 

Una soluzione “di comodo”, che si discosta parecchio dagli obiettivi di ciclicità e simbiosi industriale imposti dalla nuova economia. La CO2, al pari di ogni altro scarto produttivo, dovrebbe essere recuperata e trasformata in risorsa. Proprio su questo fronte si stanno orientando le ricerche in tutto il mondo. 

Scopriamo insieme le applicazioni più interessanti.

Dagli scarti industriali al chinotto

Potremmo decidere di riutilizzare la CO2 così com’è, in forma gassosa. Una delle tecnologie più curiose a riguardo è legata all’industria alimentare e alla produzione di bibite frizzanti. Il sistema in questione, sviluppato dal CNR ITM di Rende, è capace di convertire i rifiuti organici in biogas (fonte di energia rinnovabile) e, contestualmente, estrarre anidride carbonica a scopo produttivo. Il livello di purezza della CO2 recuperata è tale da poter garantire l’utilizzo nell’industria alimentare.

Cemento a impatto zero

Ancor più interessati, tutti quelle pratiche che, attraverso processi chimici o biologici, promettono di trasformare la CO2 in carburanti, sostanze chimiche e, incredibile a dirsi, materiali da costruzione

Entriamo nel dettaglio. La gran parte delle tecnologie che utilizzano anidride carbonica per creare materiali da costruzione sfrutta il processo di carbonatazione minerale. 

Combinando anidride carbonica e minerali a base di calcio in una soluzione d’acqua è possibile produrre ossido di calcio, comunemente conosciuto come calcare, una sostanza stabile nel tempo. 

Il processo appena descritto è mutuato dalla natura: le scogliere di Dover devono il loro caratteristico colore bianco proprio al calcare creatosi in milioni di anni grazie all’assorbimento di anidride carbonica. Il processo industriale, dal canto suo, non fa che velocizzare la reazione (CO2 concentrata e condizioni di reazione ottimizzate). Il tutto si risolve in poche ore anziché ere geologiche.

Cosa fare del calcare prodotto? I non addetti ai lavori saranno sicuramente perplessi. Quello che forse non immaginano è che il calcare è un prodotto fondamentale per l’industria del cemento, e che il recupero della CO2 in questo settore potrebbe innescare un processo virtuoso a dir poco rivoluzionario. 

Produrre cemento, ad oggi, richiede la combustione di grandi quantità di calcare (che deve essere estratto ex novo), con la contemporanea emissione di una notevole quantità di CO2. L’industria del cemento, non a caso, è considerata tra le più inquinanti al mondo, responsabile del 5-8% delle emissioni prodotte dall’uomo.

Alla luce di queste informazioni, la possibilità di poter avviare una produzione a impatto zero, caratterizzata da un utilizzo ciclico dell’anidride carbonica (CO2- Calcio – CO2) rappresenta un’evoluzione a dir poco notevole. 

Case di rifiuti e anidride carbonica

Facciamo un passo avanti. La carbonatazione può trovare applicazioni estremamente interessanti anche nel processo di riciclaggio, con l’iniezione di CO2 in rifiuti minerali ricchi di calcio e magnesio. Ne risulteranno calcestruzzo, mattoni e aggregati leggeri da utilizzare in varie tipologie di blocchi da costruzione. 

L’assorbimento di CO2, secondo le dichiarazioni dei produttori, potrebbe raggiungere i 40 kg per tonnellata di aggregato, a seconda del materiale prodotto.