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I processi biomimesi non si limitano all’individuazione della forma perfetta e del materiale più performante. Sono incentrati, piuttosto, sulla ricerca di equilibrio tra elementi artificiali e natura circostante. In questo articolo, tre lezioni fondamentali da apprendere dalla Natura.

Lo sappiamo bene: riuscire a immagazzinare energia come fanno le foglie, tessere filati resistenti come fanno i ragni, produrre ceramiche alla maniera delle ostriche basterebbe a ridurre, di molto, la nostra impronta ecologica. La Natura, con il suo laboratorio di ricerca e sviluppo attivo da 3,8 milioni di anni, non ha rivali in campo di efficienza e sostenibilità.

Sarebbe tuttavia sbagliato ridurre la biomimesi alla ricerca della forma più efficiente e del materiale più innovativo; idrodinamico, termoregolante o autorigenerante che sia. 

Le tre lezioni della biomimesi

In fase di progettazione, più che alle forme organiche, dovremo prestare attenzione alle logiche organiche. Ecco, quindi, tre lezioni valide per ogni professionista, volte a ottimizzare i processi piuttosto che i singoli componenti.

1. Il concetto di sistema

Durante la progettazione dovremo concepire il nostro edificio come parte di un sistema complesso, di cui preservare i delicati equilibri. Un apparato dalle risorse limitate, di cui diventare parte integrante e non semplici sfruttatori.

Il nostro edificio dovrà essere capace di restituire all’ambiente, in vari modi e diversi momenti della sua “vita”, la totalità delle energie sottratte.

Facendo riferimento agli scritti di Gille Clément e al suo libro, L’Alternativa Ambiente, dovremmo pensare al nostro sistema come ad un “giardino planetario”, uno spazio finito in cui la condivisione, per ragione di limitatezza, è d’obbligo. Il ruolo del progettista sarà quello di promuovere l’integrazione tra il mondo naturale e quello costruito.

La biomimesi, in questo frangente, ci pone nella giusta forma mentis per una progettazione sostenibile, in cui una relazione con il contesto urbano, l’ambiente e la popolazione è portatrice di valore aggiunto

2. LCA dell’edificio

La Natura non produce solo “macchinari” di incredibile eleganza ed efficienza; a fine ciclo è estremamente abile nel  trasformare ogni elemento in nuova risorsa, magari destinata a un “progetto” totalmente differente. Paragonata alla nostra capacità tecnologica, la biologia tocca livelli di virtuosismo a noi sconosciuti. 

Nel 2002 l’architetto William McDonough introdusse il concetto di progettazione “cradle to cradle”, dalla culla alla culla, in contrapposizione al concetto di cradle to grave, dalla culla alla tomba.

La teoria, basata sull’imitazione di strategie tipiche del mondo naturale, prevedeva l’eliminazione completa del concetto di rifiuto. La natura pensa ed opera per cicli chiusi. La stessa idea va applicata al costruito, dove ogni risorsa dovrà essere concepita, fin dalla nascita, per essere dimessa e riutilizzata in nuovi processi: restituita al suolo come nutriente biologico o riutilizzata come nuovo materiale per prodotti e edifici (nutrienti tecnici).

La filosofia cradle to cradle è perfettamente riassunta da uno dei progetti più ambiziosi del gruppo McDonough + Partners, la cosiddetta “ Casa Sostenibile”, ispirata alla funzionalità ed efficienza energetica di un albero. 

3. Adattività

Ai concetti di ciclicità e scambio in un sistema complesso se ne aggiunge un terzo, meno considerato ma di altrettanta importanza: quello della resilienza. 

Ci muoviamo in un sistema di riferimento dinamico, soggetto all’azione del tempo e degli agenti atmosferici. Per essere in linea con i principi del mondo biologico dovremo dotare i nostri progetti di un certo grado di adattività, intesa come capacità di reagire al cambiamento.

Il nostro sistema urbano non dovrebbe, semplicemente, adeguarsi ai cambiamenti, bensì dotarsi di strategie adattive capaci di gestire facilmente le sollecitazioni dell’ambiente e della storia.

Citando il pioniere della resilienza, C. S. Holling, i nostri edifici dovranno essere in grado di resistere ad eventi “caotici, non lineari” e dotarsi di una tecnologia “anti-fragile”, in grado di imparare e trarre beneficio dal disordine.