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Il dominio del silicio nel mondo del fotovoltaico potrebbe essere agli sgoccioli: dopo un intenso decennio di lavoro da parte della comunità scientifica, si prospetta la nascita di un valido concorrente: la perovskite.

La perovskite come sostituto del silicio

Che la perovskite garantisse ottima efficienza era cosa già nota alla comunità scientifica.

In condizioni di laboratorio, questo materiale garantisce prestazioni del 25-26%, simili, se non superiori, a quelle del silicio monocristallino. In configurazione tandem (silicio più perovskite) e ambiente controllato, si può raggiungere un’efficienza record del 31%. 

L’ostacolo maggiore all’ingresso sul mercato delle celle a base di perovskite non è l’efficienza ma la durata. Questi cristalli tendono infatti a degradarsi in breve tempo; più sono performanti, meno sono stabili.

Vi basti pensare che, nelle primissime fasi di ricerca, la degradazione avveniva in pochi minuti. 

Lo sforzo della comunità scientifica, in questi anni, è stato proprio quello di individuare una soluzione capace di stabilizzare le celle.

Ora, una nuova ricerca tutta italiana sembrerebbe essere giunta a un punto di svolta.

Il mini parco fotovoltaico di terza generazione

La notizia proviene dall’articolo pubblicato su Nature Energy da un nutrito gruppo di ricercatori italiani  provenienti dall’Università di Roma Tor Vergata, dall’IIT, dal CNR e dall’Università di Siena. In una sperimentazione di nove mesi svolta a Heraklion, sull’isola di Creta, sono stati testati per la prima volta nuovi pannelli con celle fotovoltaiche di terza generazione basate su cristalli di perovskite (minerale di titanato di calcio) e grafene bidimensionale

I risultati del piccolo impianto, di soli 4,5 metri quadri, sono eccellenti. I nuovi pannelli hanno dimostrato ottime prestazioni in termini di efficienza, durata e impatto ambientale, con costi di produzione contenuti, paragonabili a quelli dei comuni pannelli in silicio monocristallino.

L’importanza del grafene bidimensionale

Il progetto è stato condotto nell’ambito dell’iniziativa europea Graphene Flagship, dedicata allo studio di nuove applicazioni per questo materiale. Proprio il grafene, nella sua forma bidimensionale (ovvero un solo “foglio” dello spessore di un atomo) ha permesso di arrivare a un’ottima stabilizzazione delle celle. Ha inoltre rivestito un ruolo chiave nell’ ingegnerizzazione delle interfacce del dispositivo e nella sostituzione dei costosi materiali utilizzati come elettrodi.

Dal laboratorio alla solar farm

Il progetto rappresenta uno splendido caso di trasferimento tecnologico, dal laboratorio al test sul campo. 

Nonostante lo studio sia stato pubblicato dopo nove mesi, i pannelli della solar farm sono ancora attivi e perfettamente funzionanti a distanza di più di un anno.

L’impianto ha dimostrato di poter alimentare l’attrezzatura di laboratorio e, se collegato alla rete elettrica, di poter immettere nel sistema un’energia pari a 546 kWh. I test condotti del nuovo parco solare hanno portato alla produzione di una potenza in uscita superiore a 250 W (simile a quella sviluppata da 60 celle di silicio cristallino). 

I pannelli di terza generazione si sono inoltre distinti per una maggiore resistenza al calore, con caduta di tensione a circuito aperto inferiore a quella dei pannelli in silicio anche a temperature di 70 °C

Dimostrata la scalabilità e l’efficienza del sistema, per questi pannelli potrebbero ben presto aprirsi nuovi scenari di commercializzazione, con particolare attenzione al mercato dei paesi sud-equatoriali.